29 Marzo 2021

Ogni persona malata di Parkinson a causa della natura multidimensionale della malattia necessita di un programma personalizzato di cura e riabilitazione, che può comprende terapie farmacologiche e non farmacologiche.

Rispetto a quest’ultime sono stati condotti molteplici studi, volti ad indagare l’efficacia di vari tipi di interventi.

Il “training cognitivo” è stato classificato come un valido metodo riabilitativo: i suoi effetti benefici sui pazienti sono sempre più consolidati e supportati dal panorama scientifico.

Se il training cognitivo è fatto in gruppo sono stati riscontrati anche miglioramenti sullo stato affettivo dei malati di Parkinson.

Il focus è lavorare per modificare sentimenti depressivi e sensazioni di solitudine o frustrazione.

La comunicazione e la conversazione di gruppo sono parte integrante di questa tipologia di training e, se svolte con costanza, garantiscono un miglioramento nella percezione della qualità della vita per il singolo individuo.

Nel Progetto Sollievo Intese, che da anni sto seguendo come psicologa, oltre a percorsi di stimolazione cognitiva e sostegno psicologico individuale, sono previsti incontri di stimolazione cognitiva in gruppo.

Ogni membro del gruppo diventa sostegno agli altri, perché esprimendo il proprio vissuto e i propri stati d’animo permette agli altri di identificarsi con la sua narrazione o di aprirsi a loro volta raccontando le proprie esperienze.

Anche se vissuti, ricordi, esperienze sono differenti da persona a persona, la condivisione permette di far luce sul proprio vissuto.

Ed è un vissuto complesso quello di S., che partecipa agli incontri da due anni e che in questo periodo di pandemia vengono svolti a distanza.

S. è un uomo dinamico, ha sempre lavorato tanto, lontano da casa, dirigendo lavori nei cantieri edili di tutta Italia.

Poi è arrivata la diagnosi di malattia di Parkinson, e come tutti coloro che si ritrovano a fare i conti con questa “sentenza”, ha dovuto riorganizzare la propria vita, non senza fatiche e senso di frustrazione.

All’inizio per lui è stato difficile partecipare agli incontri di gruppo, difficile accettare che c’era qualcosa che non andava, proprio a lui, che fino a qualche anno prima riusciva a gestire squadre di operai.

Difficile fare un passo avanti per raccontare a sconosciuti che cosa stesse vivendo.

Poi è riuscito a trovare il suo posto anche all’interno del gruppo, e coloro che prima erano a lui sconosciuti son diventati nuovi amici.

Tra un esercizio e l’altro ha cominciato a parlare della malattia, della frustrazione iniziale, ma anche delle piccole conquiste quotidiane nel portare a termine, anche da casa, alcuni lavori per i suoi amici.

Ha raggiunto un equilibrio all’interno delle tante fatiche quotidiane e notturne.

Poi un giorno gli è stato proposto dal neurologo l’intervento per introdurre l’infusione duodenale.

I dubbi erano tanti, la decisione per lui non era semplice e l’ennesimo cambiamento spaventava, ma grazie al gruppo ha trovato anche delle strade da percorrere, come quella di provare a sentire chi quell’operazione l’aveva già fatta.

Il gruppo è stato un suo alleato, pronto ad affiancarlo qualsiasi decisione prendesse, e di sostenerlo quando lui, sempre attraverso la telecamera, mostra la lettera con la data dell’appuntamento in ospedale per l’intervento.

Arriva il giorno dell’intervento, per fortuna la tecnologia aiuta a star vicino anche chi fisicamente non si riesce a raggiungere e il gruppo whatapp si riempie di messaggi di auguri per S..

Passano tre giorni e arriva anche l’appuntamento settimanalea distanza con il gruppo.

Si sarebbe già dovuto essere a casa secondo le indicazioni che i medici inizialmente avevano dato.

Uno a uno si collegano e ad un certo punto si collega anche S., ma si vede che non è a casa.

Si intravede uno sfondo giallo, delle gabbie per flebo.

Dopo qualche secondo appare l’infermiera e vicino a lei S..

Non ha voluto rinunciare a collegarsi, anche se in un letto di ospedale, per salutare i suoi amici e dire che era andato tutto bene!

Si è fatto aiutare da un’operatrice per la connessione e non aveva molto tempo perché attendeva il fisioterapista che l’avrebbe fatto camminare, ma ha deciso di esserci, per il gruppo.

E il gruppo era là a sostenerlo in questa nuova battaglia.

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