15 Gennaio 2021
Il lockdown, nel picco della pandemia di Covid-19, ha aperto la strada a un’altra emergenza, oltre a quella legata ai contagi: tra i più penalizzati ci sono stati i pazienti con una demenza.
Il motivo?
L’incremento dei disturbi comportamentali spesso collegati alla malattia quali ansia, aggressività, apatia, disturbi del sonno ha riguardato più del 50% delle persone con demenza, e specularmente, a causa dello stress derivante dalla cura, circa un 65% di familiari si è scoperto «più vulnerabile» e «più stressato».
Il 30 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’epidemia da COVID-19 un’ emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale.
A seguito delle disposizioni ministeriali molti servizi legati alla gestione delle persone con demenza subiscono ritardi o sono sospesi e le famiglie vengono sottoposte alla misure di contenimento e di isolamento previste per contenere la diffusione del virus.
Tali misure hanno dimostrato di essere efficaci per il controllo delle malattie infettive, compreso il COVID-19.
Tuttavia, precedenti studi su focolai di SARS e MERS, hanno dimostrato che la quarantena ha un effetto negativo sulla salute mentale, con aumento dei sintomi psichiatrici quali ansia, depressione e angoscia.
In linea generale, i sintomi riportati più di frequente sono stati l’irritabilità (40%), l’agitazione (31%), l’apatia (35%), l’ansia (29%) e la depressione (25%). «In oltre un quarto dei casi – analizza Amalia Bruni, direttore del Centro Regionale di Neurogenetica di Lamezia Terme (Catanzaro) e presidente della SINdem – questa nuova condizione ha richiesto la modifica del trattamento farmacologico».
In questi mesi difficili il Centro Medico Rindola ha impostato un nuovo approccio di presa in carico che parte da un colloquio specifico per l’indagine accurata dei disturbi presenti nella persona con demenza attraverso l’utilizzo di strumenti scientificamente validati, e per comprendere gli equilibri e le esigenze della famiglia.
Successivamente viene stilato un protocollo personalizzato di presa in carico che sia avvale di:
- figura o tutor di riferimento continuo per la presa in carico, e per facilitare la relazione con la rete dei professionisti del territorio (Centro Decadimento cognitivo, Medici di Medicina Generale, Assistente sociale, Assistenza Domiciliare Integrata).
- neurologo per la gestione della terapia farmacologica e per il successivo monitoraggio. A tal proposito abbiamo istituito un apposito servizio, un call center, dedicato al supporto per la gestione della terapia farmacologica.
- psicologo per supporto, anche in modalità a distanza, per:
- riorganizzare la quotidianità
- analisi delle nuove dinamiche familiari causate dall’isolamento e dalla quarantena
- per sviluppare e consolidare abilità di empowerment e care management.
- valutazione di eventuale inserimento in uno dei nostri centri diurni appositamente dedicati alle persone con decadimento cognitivo in fase lieve e moderata
A marzo il Centro Medico Rindola ha iniziato uno studio per osservare gli effetti di questa nuova modalità di presa in carico.
I dati emersi dalla presa in carico di più di 80 famiglie sono stati positivi in termini di:
- maggiore efficacia della terapia farmacologica, dovuta ad una accurata analisi e impostazione iniziale;
- contenimento dei disturbi comportamentali (solo l’11% dei casi è ricorso alla modifica della terapia farmacologica)
- contenimento dello stress dei familiari derivante dall’effetto diretto dell’isolamento