6 Luglio 2020

La malattia di Parkinson è presente in tutto il mondo ed in tutti i gruppi etnici.

Si riscontra in entrambi i sessi, con una lieve prevalenza, forse, in quello maschile.

L’età media di esordio è intorno ai 58-60 anni, ma negli ultimi anni l’età di prima diagnosi si sta sensibilmente abbassando.

Circa il 5 % dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 ed i 40 anni.

Parliamo quindi di persone in attività lavorativa e spesso con figli piccoli.

Nel nostro paese si stimano circa 240.000 persone con MdP e la loro distribuzione geografica non è omogenea.

Il numero maggiore dei casi, infatti, si registra in Veneto con il più alto tasso di malattia a Padova con 26.28 casi ogni 10.000 abitanti. Il valore più basso è presente in Sardegna a Sanluri: appena 2.98 casi su 10.000 abitanti.

La malattia si presenta solitamente in modo insidioso, e i sintomi iniziali spesso sono non specifici: le persone colpite possono infatti accusare affaticamento e malessere, o in altri casi si possono riscontrare alcuni cambiamenti del carattere.

Per molti mesi dall’esordio della malattia le uniche complicanze possono essere rilevate nella difficoltà a scrivere o nell’incapacità di intraprendere compiti sequenziali e abituali, come lavarsi i denti, abbottonarsi la camicia, usare le posate.

Molte sono le implicazioni che susseguono ad una comunicazione di una malattia cronica e degenerativa come il Parkinson sia di tipo funzionale, sia di tipo psicologico e sociale.

Gli elementi che maggiormente condizionano la qualità di vita sono i disturbi dovuti allo stress della vita quotidiana e le reazioni dell’ambiente sociale.

La diagnosi di una malattia cronica e degenerativa come il Parkinson porta quindi a molti quesiti, che per impatto e durata di tempo diventano tanto più pesanti quanto più giovani si è.

 “E ora cosa faccio?”

Ecco una domanda che subito si materializza nella mente dopo aver ricevuto una diagnosi di questo tipo.

La nostra società tende a stigmatizzare le persone non più efficienti fisicamente, il rischio è quello di isolarsi, mentre il modo migliore di affrontare la malattia è di mantenere i rapporti sociali, affiancare alla terapia farmacologica l’esercizio fisico, la riabilitazione o il potenziamento cognitivo attraverso l’aiuto di professionisti, curare l’alimentazione, eventualmente ricorrere al sostegno psicologico, da soli o in coppia per meglio affrontare la malattia.

Tutto ciò per vivere consapevoli di essere persone con il Parkinson e non malati di Parkinson.

Un sintomo comune a molte patologie e che non è riconducibile alla sola dimensione fisica, ma interessa anche la sfera emotiva e cognitiva è lo stato di stanchezza, debolezza generale o mancanza di energia.

Rappresenta un sintomo che spesso è sottostimato, ma è tra i più comuni: colpisce infatti il 30-70% dei pazienti, con un notevole impatto sulla qualità della vita, tanto che circa un terzo delle persone con MdP la considera come il sintomo più fastidioso, anche più dei sintomi motori associati alla malattia.

Essere stanchi sia fisicamente che mentalmente è un sintomo molto frustrante della malattia in quanto può influenzare diversi ambiti della quotidianità: famiglia, socialità, lavoro,…

Se si avverte una riduzione della capacità lavorativa, l’aumento del senso di stanchezza una prima idea potrebbe essere quella di richiedere la riduzione dell’orario di lavoro.

Infatti con Jobs Act, la normativa estende la possibilità di utilizzo del lavoro supplementare e delle clausole elastiche (quando la contrattazione collettiva non entra in merito) e del diritto alla trasformazione del lavoro da tempo pieno a tempo parziale anche a chi soffre di patologia cronico-degenerative (oltre che in caso di maternità).

Naturalmente, il lavoratore che ha questa malattia degenerativa ha diritto ai permessi per visite specialistiche o esami che vengono riconosciuti per qualsiasi altra malattia, purché giustificati con un certificato medico rilasciato dalla struttura a cui si è rivolto.

Che cos’è il part time?

Il contratto part time, o a tempo parziale, è un contratto di lavoro subordinato il cui orario, anziché coincidere con quello ordinario (solitamente 40 ore, se non stabilito in misura minore dal contratto collettivo), o tempo pieno, risulta ridotto.

I lavoratori con contratto part time hanno comunque gli stessi diritti dei dipendenti a tempo pieno, ma in proporzione alla quantità di lavoro prestata.

La riduzione dell’orario è espressa in percentuale: ad esempio, se il contratto collettivo applicato dall’azienda prevede 40 ore quale orario normale e il dipendente ne lavora 20, l’orario corrisponde al 50%.

ll datore di lavoro, in queste situazioni, non può rifiutare la conversione del contratto da tempo pieno a tempo parziale, perché si tratta di un diritto del lavoratore, non di una semplice facoltà o di un interesse tutelato.

Il datore di lavoro può, comunque, accordarsi col dipendente sulla collocazione oraria della prestazione lavorativa. Inoltre deve in ogni caso tener presente che le esigenze del malato, come quella di assentarsi per effettuare terapie o visite prevalgono sulle esigenze produttive, organizzative e tecniche dell’azienda.

 

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