11 Gennaio 2022
La complessità della cura, l’impegno costante reso più problematico da una rete dei servizi ancora inadeguata, le implicazioni su di un piano relazionale ed emozionale, i costi economici diretti e indiretti, mettono a dura prova l’equilibrio psicofisico del paziente e del caregiver e dell’intero nucleo familiare, a sua volta in continua evoluzione.
La famiglia, infatti, è ancora il luogo privilegiato della cura nel nostro paese, ma non è più il “contenitore” stabile di un tempo.
Imparare ad accettare la diagnosi di una malattia degenerativa ( Malattia di Parkinson, Sclerosi Multipla, Decadimento Cognitivo) significa dover riorganizzare la propria vita (e quella di chi ci sta vicino) tenendo conto di un limite personale: questo processo può essere doloroso e richiede del tempo per elaborare la notizia e reagire alla malattia in modo attivo e consapevole.
L’atteggiamento della persona malata e del caregiver verso la diagnosi è fondamentale e può fare la differenza.
Più ci si informa, si inquadra bene la situazione, si è coinvolti attivamente per reagire e più si riuscirà a tenere la malattia sotto controllo attuando strategie compensative, che permettano di adattarsi progressivamente a un nuovo stile di vita, costruendo così un piano di intervento su misura.
Poiché la malattia tende a stravolgere ogni aspetto della vita quotidiana, l’approccio deve essere globale e centrato sulla qualità della vita a tutto tondo, includendone quindi i diversi aspetti bio-psico-sociali – relazionale, sociale ed ecologico, psico-fisico, occupazionale, spirituale, e naturalmente cognitivo e di neuroplasticità.
Un approccio olistico non può che includere interventi significativi anche nello stile di vita della persona malata.
Non a caso, negli ultimi anni, numerosi studi hanno dimostrato che lo stile di vita è un importante fattore sia di rischio che di prevenzione delle patologie neurodegenerative.
Anche quando si ha già una diagnosi, è possibile intervenire sulla gestione dei sintomi della malattia, fino a rallentarne il decorso o almeno a contenere i disagi, intervenendo sia sui comportamenti che possono aumentare il rischio di un peggioramento, sia su quelli che invece potenziano il benessere della persona.
La richiesta d’informazioni chiare e mirate e di una comunicazione efficace è uno dei bisogni primari da cui partire, in particolare la diade paziente-familiare ha bisogno di essere ascoltata, di ricevere sufficienti informazioni per la gestione della quotidianità sulla malattia e sul decorso, di reperire dati al fine di prendere decisioni consapevoli.
PERCORSI PER CAREGIVER: LA PROPOSTA DI RINDOLA
Nella maggior parte dei casi i caregiver ed i familiari in generale sono la prima fondamentale risorsa dei pazienti, per cui la qualità delle cure dipende moltissimo dalla capacità dei caregiver di fornire un supporto adeguato.
Il percorso di snoda attraverso le seguenti fasi:
- Analisi dei bisogni: costituisce un importante fonte di informazione per chi eroga le cure e per i caregiver stessi, specialmenti in setting clinici in cui è fondamentale ottimizzare il tempo e le risorse erogate a ciascuna diade paziente-caregier, in modo che sia possibile fornire un intervento più adeguato e su misura, favorendo il benessere, la soddisfazione ed aumentando specificità, qualità ed efficacia del supporto fornito.
- Avvio del percorso di sostegno: il programma che si intende implementare prevede di guidare il familiare nella presa di coscienza della malattia del proprio caro con conseguente riconoscimento dei bisogni sia del congiunto che personali. Recenti studi dimostrano, infatti, come un intervento che integri le esigenze del caregiver con quelle del malato abbia ripercussioni positive sia sui costi, sia sul decorso della malattia e in generale sulla qualità di vita di tutto il nucleo familiare.
I risultati che ci proponiamo di ottenere:
- Miglioramento della qualità di vita del nucleo familiare
- Sviluppo delle abilità di empowerment e care management dei caregiver
- Diminuzione dello stress
Per saperne di più: