28 Ottobre 2020

La scrittura autobiografica oltre ad essere un genere letterario vero e proprio, ha anche un’utile funzione terapeutica favorendo, per chi la utilizza, di fare esperienza di un percorso di consapevolezza del proprio vissuto con conseguente crescita personale.

Scrivere di sé aiuta a rivedere le vicende belle e brutte della propria vita dando un significato nuovo e differente da quello che è stato dato nel momento in cui le si stava vivendo.

Attraverso la scrittura autobiografica si è portati a riscoprire il senso della propria vita.

E’ utile per ritrovare se’ stessi anche nei momenti di disorientamento, quando importanti domande sul senso della propria esistenza non trovano risposta. Uno dei tanti benefici di questo genere letterario è che è in grado di creare un filo conduttore della nostra vita.

Ed è questo filo che fa emergere la consapevolezza di quali sono i talenti, le attitudini e i doni che ognuno di noi deve portare al mondo.

Prendere coscienza dei propri talenti diventa particolarmente importante quando a causa della malattia come quella di Parkinson l’immagine di sé viene attaccata dai cambiamenti che il malato subisce a livello fisico, psicologico e sociale.

Nella pratica clinica con le persone con malattia di Parkinson la frase che più frequentemente si sente dire è:

“Non mi riconosco più, non sono più io”.  

Ed è per questo che si ritiene utilissimo proporre tra una seduta e l’altra la stesura di una narrazione di una vicenda della vita del paziente sottoforma di un diario, perché attraverso il “raccontar-si” la persona è chiamata a portare alla luce numerosi aspetti di sè, dagli eventi esterni, ai propri pensieri e alle emozioni provate in alcune circostanze.

Questo porta ad avere una nuova consapevolezza sui propri cambiamenti biologici, psicologici e nella sfera sociale causati dalla malattia.

Attraverso la narrazione e la scrittura autobiografica i ricordi vengono isolati, messi in ordine, in sequenza e infine contestualizzati dando un nuovo significato creato dalla mente in quel momento.

Questo crea un cambiamento di giudizio e una nuova accettazione del passato e di conseguenza di ciò che si sta vivendo nel presente. Perché le vicende del passato diventano strumento per affrontare le nuove difficoltà che la quotidianità ci pone dinanzi.

Per chi è ammalato scrivere di sé significa comunicare che oltre alla malattia c’è la persona, con i propri punti di forza e con la voglia di adattarsi continuamente ai cambiamenti che la malattia di Parkinson, per la sua natura progressiva, presenta quotidianamente. Scrivere di sé, infine, fa sentire protagonista della propria storia e aiuta ad elaborare prospettive chiare per il futuro.

Ecco come due persone con malattia di Parkinson raccontano di sé:

“Sette anni fa, correva l’anno 2012, mi irrigidii di punto in bianco, in quanto ebbi in dono la possibilità di conoscere un nuovo amico. Era Mr. Park e da quel momento non mi ha più lasciato e penso non mi lascerà mai più, anche perché siamo dei duri e rigidi amici. Dopo questi anni ho instaurato un rapporto molto stretto e a volte la sua presenza diventa soffocante, però visto che qualcuno me l’ha mandato devo tenermelo, diciamo che lui sarebbe geloso e tenderebbe a farmi allontanare da amici e parenti però riesco a tenerlo a bada.”
V.S. 50 anni
 
“Le difficoltà che sto vivendo sono legate alla poca manualità della mano destra. Penso al futuro e mi spaventa che un giorno non sarò più in grado di essere autosufficiente, mangiare, vestirmi, guidare l’auto. Poi però penso che a darmi forza c’è la mia famiglia e gli amici che mi stanno vicino e il fatto che anche io posso essere utile agli altri. Mi rende felice sapere che tanti fanno affidamento su di me, sia sul lavoro che al di fuori di esso.”
L.T., 58 anni
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