13 Maggio 2020

E’ ormai ipotesi condivisa che la malattia di Parkinson non possa piu’ essere considerata una patologia neurologica esclusivamente motoria, interpretabile da un punto di vista biochimico come legata solo ad un deficit dopaminergico.

L’importanza dei sintomi non motori è ormai evidente, soprattutto in relazione alla qualità di vita ed alla sopravvivenza dei pazienti.

L’approccio di presa in carico delle persone con Malattia di Parkinson e dei loro familiari del Centro Medico Rindola ha come base teorica il concetto di Qualità della Vita formulato dal modello bio-psico-sociale secondo la classificazione dell’ICF – Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (2001).

Secondo tale modello la malattia è caratterizzata da un’interazione di fattori biologici, psicologici e sociali e la presa in carico deve tenere conto di una visione della cura sempre più centrata sulla persona.

Molta attenzione è quindi posta a alle risposte psicologiche rispetto ad un evento così stressante come ricevere una diagnosi di malattia a carattere progressivo.

I dati scientifici evidenziano che le problematiche psicologiche sono presenti in modo considerevole nei pazienti con malattia di Parkinson e, se non diagnosticate e adeguatamente trattate, possono avere importanti ricadute sia sul funzionamento cognitivo, sia sulla qualità della vita della persona.

Le reazioni psicologiche più frequenti sono rappresentate da depressione, ansia e attacchi di panico.

Si manifestano maggiormente nelle fasi iniziali e avanzate della malattia ma, in alcuni casi, la depressione può anche precedere la comparsa dei sintomi motori.

Il vissuto viene spesso raccontato dai pazienti come “la convivenza con uno sgradevole inquilino con cui ci si trova costretti a vivere”. Improvvisamente si devono imparare a gestire le molte sfaccettature di questa complessa malattia: le fluttuazioni motorie, gli effetti dei farmaci, le fasi di on e off, la stanchezza, la depressione.

L’ingresso della malattia nella vita della persona può essere a volte totalizzante, modificando progressivamente ruoli e abitudini all’interno della vita familiare, sociale e professionale.

Proprio per questo è fondamentale che il percorso riabilitativo inizi con un’analisi dei fattori psicologici, delle aspettative, di come la persona si vive e di come la malattia ha cambiato l’opinione che la persona ha su di sé.

Uno degli obiettivi principali dell’intervento è far fronte alle rappresentazioni cognitive disfunzionali della malattia (“andrà sempre peggio…”) e di conseguenza alle situazioni stressanti che questa comporta (“non sarò più in grado di fare nulla”) accompagnando la persona malata a fare un’analisi del comportamento attuato nelle diverse situazioni, e ad un training specifico per sviluppare le competenze sociali per far fronte alla malattia, o come dice qualche nostro paziente “imparare ad indossare la malattia”.

In parallelo la persona segue un percorso di orientamento in cui sono fornite le informazioni necessarie in merito a ciò che servizi sociali e territorio possono offrire, o in tema di diritti nel mondo del lavoro per quelle persone che sono ancora in età lavorativa o a cui è stato diagnosticato un Parkinson giovanile, che si trovano a confrontarsi con i problemi legati alla gestione finanziaria, alle responsabilità familiari ed alle ripercussioni sulla loro vita professionale e relazionale.

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