15 Dicembre 2022
Quando ci si accorge che “qualcosa non va al proprio cervello” si entra in un mondo di incertezza e incomprensione.
L’incertezza nei confronti di sè stessi, perché ciò che prima si riusciva a fare con disinvoltura, quasi senza pensarci, ora invece richiede maggiore sforzo e un aiuto esterno; incomprensione da parte di chi è vicino alla persona senza capire che cosa stia accadendo realmente.
Agli occhi del familiare sembra quasi che la persona faccia finta di non ricordare, appaia svogliata, sia diventata pigra, non voglia più interfacciarsi con gli altri.
E’ come se vivesse dentro ad una bolla.
Allora ci si rivolge al medico, poi allo specialista, vengono fatti degli esami e poi viene data la “sentenza”.
E ora? Che cosa si deve fare? Cosa succederà?
Sono domande che costellano la mente di chi si trova con un foglio di carta in cui è scritto in neretto parole come Mild Cognitive Impairment, o Disturbo Neurocognitivo o Malattia di Alzheimer…..
Una preziosa risposta ci viene data dalla testimonianza di Loris Bovo, 62 anni, che frequenta attualmente nel territorio veneziano il Progetto Sollievo Intese, un percorso online con un gruppo di persone che come lui devono combattere una battaglia quotidiana proprio per affrontare le difficoltà sorte da una parte a causa della malattia, dall’altra dal “il mondo esterno” incapace a volte di comprendere che cosa provi una persona con questo tipo di diagnosi.
“Buongiorno a tutti, mi chiamo Loris e vengo da Fossò.
Sono felice di poter dare oggi la mia testimonianza.
Nel 2018, a 57 anni, mi sono accorto che cominciavo ad avere amnesie, mi dimenticavo le chiavi della macchina in giro e anche al lavoro mi dimenticavo dove avevo messo le cose.
Mi sentivo insicuro, e molto arrabbiato perché non capivo cosa mi stesse accadendo.
Avevo paura di
relazionarmi con gli altri, mi ero chiuso molto in me stesso, era come stare dentro una bolla.
Appena mi sono accorto che c’erano questi problemi sono andato dal medico di base che mi ha indirizzato alla neurologia.
Dalla valutazione ed esame del liquor è stata confermata la diagnosi di malattia Alzheimer.
Inizialmente non mi è stata comunicata la diagnosi, mia moglie aveva paura che reagissi troppo male a questa notizia, era molto preoccupata, e allora ha chiesto alla neurologa di non dirmelo in modo chiaro.
Ora penso che sarebbe stato meglio saperlo in quel contesto, la dottoressa mi avrebbe aiutato a capire cosa stava succedendo.
Per me è importante che la diagnosi venga comunicata in modo chiaro perché per chi vive la situazione di confusione e incertezza come è accaduto a me deve avere il diritto di sapere cosa sta accadendo al proprio cervello.
E’ importante che venga spiegato che cosa è questa malattia e che cosa comporta nella vita della persona che ne è affetta.
Invece ho scoperto da solo la mia diagnosi, è accaduto per caso, controllando alcune carte scritte dal medico di base ed è stato uno shock trovare scritta la parola Alzheimer.
All’inizio non ho detto a mia moglie che lo avevo scoperto, ho cercato di affrontare questa ferita da solo, ma poco dopo le ho rivelato che ne ero a conoscenza.
Allora ne abbiamo parlato, abbiamo pianto assieme e abbiamo capito che da quel momento avrebbe avuto inizio la nostra battaglia.
Perché avere questa malattia ti porta a dover lottare contro il mondo.
Inizialmente con un datore di lavoro, che si dichiarava mio amico, ma che ha deciso di non avere handicappati in azienda e così mi ha lasciato a casa anche se il documento dell’INPS dichiarava che avrei potuto lavorare due ore al giorno.
E anche io sono sicuro che avrei potuto dare ancora molto alla mia azienda, sarei stato ancora prezioso.
Avere un confronto diretto con i professionisti che mi spieghino ciò che sta accadendo al mio cervello mi permette anche di tenere testa a quei conoscenti che pensano di risolvere il mio problema senza capire che cosa comporta avere una diagnosi come la mia.
E’ capitato infatti che una normale cena in compagnia si sia trasformata in una serata in cui ognuno diceva la sua su come “risolvere” il mio problema di memoria.
All’inizio mi sono sentito umiliato ma poi sono riuscito a reagire.
Se riesco ad affrontare queste situazioni lo devo anche ai professionisti che ho incontrato dal momento della diagnosi, posso dire che c’è stato un grande lavoro a tal punto che sia per me che per mia moglie non ci sono grandi differenze tra loro.
Li vediamo come un’unica figura che costruisce una progettualità per me, come ad esempio la proposta fatta dall’Assistente sociale di entrare a far parte del Progetto Sollievo.
Mi piace frequentare il Centro perché posso uscire di casa, ho conosciuto molte persone con cui posso confrontarmi e spesso parliamo di quanto sia importante far vedere agli altri che siamo persone che valgono ancora tanto.
E devo dire un grande grazie a mia moglie e mio figlio.
Mi aiutano, a molto, anzi, si può dire che ci aiutiamo a vicenda.
Io ho aiutato mia moglie a reagire allo shock iniziale e lei mi aiuta continuamente ad andare avanti.
Non avrei mai pensato di riuscire ad affrontare questa malattia così a testa alta.
Mi sento coinvolto e soddisfatto.
Non sono più dentro una bolla come ero stato all’inizio, non ho paura di raccontare ciò che mi è capitato ma anche chi sono adesso.
Cerco di godermi la vita giorno per giorno e dimostrare al mondo chi sono e che cosa sono in grado di dare.
E vi garantisco che posso dare ancora molto!”
Il Centro Medico Rindola prevede la presa in carico della diade paziente-caregiver attraverso un percorso di supporto psicologico.
Molte persone arrivano a noi non avendo completamente chiara la propria diagnosi o non avendo compreso che cosa essa possa comportare a livello di gestione della quotidianità.
Lo psicologo aiuta il paziente e familiare a far emergere le difficoltà incontrate ma anche i punti di forza ancora presenti.
E’ importante saper ascoltare i protagonisti e cioè chi si trova a dover affrontare questo tipo di diagnosi, perché sono loro che possono dire agli altri quali sono le cose di cui hanno bisogno, tutto ciò che per loro è importante affinché possano continuare a vivere con dignità e a testa alta ogni giorno della loro vita, consapevoli di quali sono i loro diritti, e di come ottenerli.