8 Ottobre 2021

Nel nostro lavoro quotidiano possiamo notare come il termine dislessia negli ultimi anni sia sempre più presente nei discorsi delle persone.

Tuttavia essendo un disturbo così variabile e peculiare nelle sue cause e manifestazioni, spesso si giunge a conclusioni fuorvianti e che generano ancora maggiore confusione e incertezza in merito a diagnosi e trattamento del bambino che presenta dislessia.

Troppe volte, infatti, questo disturbo non solo non viene neanche riconosciuto, ma addirittura scambiato per svogliatezza del bambino.

È ormai noto che il problema potrebbe già essere riconosciuto durante gli anni della scuola dell’infanzia, notando un ritardo nel bambino nell’esprimersi verbalmente o nel riconoscere le prime letterine durante i giochi.

 I bambini con Dislessia, infatti, spesso hanno avuto difficoltà di linguaggio nei primi tre anni di vita: può trattarsi di bambini che hanno  imparato a parlare verso i tre anni, altre volte invece hanno imparato verso l’anno ma poi il loro linguaggio è rimasto povero, oppure non hanno mai pronunciato bene le parole, o hanno continuato ad usare frasi costruite in modo non del tutto corretto.

L’uso del linguaggio è alla base delle attività didattiche presenti a scuola ed è per questo motivo che alcuni casi di Dislessia sembrano “nascere” durante gli anni della Primaria.

In realtà, il contesto scolastico mette in luce problematiche già presenti.

Paradossalmente, se il bambino non venisse in contatto con un ambiente ove sia il linguaggio scritto che quello orale costituiscono allo stesso tempo lo strumento e l’oggetto principale di apprendimento, il suo disagio e le sue problematiche si configurerebbero in maniera meno “forte”.

Un altro mito da sfatare riguarda il fatto che la dislessia un problema che riguarda solo la lettura.

Nei colloqui con i genitori specifichiamo sempre che la difficoltà di lettura è solamente la punta dell’iceberg; vi sono difficoltà sul piano cognitivo, in particolare nel controllo esecutivo, che possono comportare la serie di conseguenze che si riscontrano poi nel quotidiano (difficoltà nella gestione delle autonomie, problemi di organizzazione e programmazione, difficoltà nel mantenere l’attenzione.

Il problema di lettura e scrittura può essere considerato quindi come il segnale più evidente di un funzionamento cognitivo più ampio e complesso.

Generalmente, il bambino con Dislessia ha uno stile cognitivo peculiare anche quando non legge: quando parla usa parole diverse tra loro credendo che significhino la stessa cosa, oppure ha poco interesse a parlare in maniera “corretta” e fatica ad imparare il linguaggio specifico delle varie materie.

Non memorizza parole nuove con facilità ed è lento nel ricordare l’alfabeto (o le filastrocche, le tabelline, le poesie ecc), oppure non lo impara del tutto. 

Quando ascolta, il bambino potrebbe non comprendere del tutto il senso di ciò che gli viene detto, se il pensiero è ricco di frasi subordinate e se sono pochi gli esempi legati alla realtà concreta presenti nel discorso.

È come se il nostro modo di parlare risultasse troppo complesso, perché il bambino non ha gli strumenti per organizzarlo autonomamente (come fa invece il bambino non dislessico, che comunque a seconda dell’età risulta più o meno competente nell’organizzare ciò che ascolta).

Diverso è ascoltare un brano che qualcuno legge, dall’ascoltare un discorso.

Il brano che viene letto, ha una ritmica ed una punteggiatura che già lo riordinano e che quindi facilitano l’organizzazione.

Un buon brano, o un capitolo di un buon libro di testo, sono già “organizzati” e quindi il bambino riesce a comprendere ascoltando la lettura di un’altra persona.

In generale, il bambino e lo studente con dislessia non hanno un rapporto “naturale” con l’apprendimento uditivo (che avviene tramite le parole): non è per loro sufficiente ascoltare per capire ed imparare, ma necessitano di spiegazioni che passino anche attraverso l’esempio concreto e la sperimentazione.

Inoltre, uno schema riassuntivo, dove compaia il “percorso ragionato” compiuto dall’adulto (tutor o insegnante), è molto importante per l’alunno con Dislessia.

Questo soprattutto durante gli anni della scuola Primaria e Secondaria di I grado, dove il bambino non sarà in grado di costruire tale schema in autonomia, ma dovrà essere guidato.

È Importante sottolineare che il profilo cognitivo peculiare del bambino con dislessia può comportare anche delle difficoltà nella matematica, più o meno importanti a seconda del grado di dislessia e della classe frequentata dal bambino.

Infatti, più il bambino procede con la scolarizzazione, più le richieste aumentano e con esse le difficoltà in matematica, legate alla comprensione dei testi dei problemi ed alla concettualizzazione astratta, soprattutto se essa deve appoggiarsi prevalentemente sul canale verbale.

L’ultimo aspetto da sottolineare (non per importanza) è quello riguardante l’impatto psicologico che la diagnosi di dislessia ha sullo studente.

Gli studi hanno riscontrato che i ragazzi e bambini con DSA hanno un concetto di sé stessi più negativo rispetto ai bambini senza il disturbo, tendono a sentire più ansia e hanno poca stima di sé stessi.

Potete capire come la percezione di sé e l’autostima non solo sia legata alle performance scolastiche ma abbia un impatto pervasivo sulle emozioni, sulla cognizione, sul comportamento  e  sulla   motivazione   della   bambino condizionandone il benessere psicologico generale.

Per saperne di più: 

DSA CHE COSA SONO E COME SI DIAGNOSTICANO

DIFFICOLTA’ SCOLASTICHE E RITARDI NEGLI APPRENDIMENTI: NON SEMPRE SI TRATTA DI DSA

I CAMPANELLI DI ALLARME DI UNA DIFFICOLTA’ DI APPRENDIMENTO: COME RICONOSCERLI?

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