“Non ce la faccio più, ma è più forte di me” questa è la prima frase pronunciata in terapia dalle persone che soffrono di Disturbo Ossessivo Compulsivo.
Annoverato tra i disturbi d’ansia, il DOC è caratterizzato da preoccupazioni non corrispondenti ad un dato di realtà, e riguardanti la perdita, il pericolo, la colpa (ossessioni) a cui segue il tentativo di estinguerle tramite comportamenti riparatori (compulsioni) in un circolo vizioso da cui la persona non riesce ad uscire, pur ritenendosi schiava della situazione.
“ Compito del terapeuta è quello di comprendere i modi di sofferenza di ogni singolo paziente e i motivi di determinati comportamenti che hanno portato la persona in quella specifica situazione. ”
Il DSM 5 (2014) definisce le ossessioni come pensieri, impulsi o immagini ricorrenti vissuti come intrusivi e indesiderati, che causano disagio e sofferenza marcati.
Solitamente le ossessioni non sono riconosciute come proprie.
Tra le più frequenti troviamo quelle riguardanti la paura del contagio, il dubbio o l’incertezza di aver compiuto alcune azioni, impulsi etero o auto-aggressivi (offendere gli altri o farmi del male anche se non intendo farlo), idee o immagini a sfondo sessuale, preoccupazioni o dubbi riguardanti le relazioni sentimentali.
Le compulsioni riguardano comportamenti o azioni mentali ripetitivi che il soggetto sente di dover mettere in atto, in accordo a certe regole, ed hanno l’obiettivo di ridurre l’ansia e il disagio causato dalle ossessioni.
Generalmente infatti le compulsioni sono seguite da una sensazione di sollievo dal disagio causato dalle ossessioni.
Questa descrizione nosografico-descrittiva ascrive il soggetto all’interno di una categoria, mentre il compito del terapeuta è quello di comprendere i modi di sofferenza di ogni singolo paziente e i motivi di determinati comportamenti che hanno portato la persona in quella specifica situazione.
Le persone che sviluppano sintomi ossessivi sono tendenzialmente coloro che mantengono una stabilità personale attraverso un sistema di riferimento basato sull’Alterità, perlopiù rappresentata da un insieme di regole, ideali o valori impersonali o astratti.
Se l’esperienza che fa la persona è ogni volta configurata attraverso quell’insieme di riferimento impersonale, la sintomatologia emergerà in seguito alla mancata corrispondenza tra l’esperienza stessa e quello specifico set di riferimento.
Grazie alla psicoterapia è possibile declinare la sintomatologia nella specifica storia di vita del paziente e comprenderne i motivi della sofferenza.
Tramite la rifigurazione dell’esperienza il paziente avvertirà la propria condizione come modificabile e questo favorirà il lavoro verso la ricerca di un sentimento di fiducia nei confronti della propria esistenza e verso una nuova progettualità.
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